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02/Lug/2018

L’ 11 Maggio 2018 ha avuto luogo a Ravenna il consueto seminario annuale dell’I.C.S.A.T. dedicato ad uno degli esercizi del Training Autogeno. Quest’anno il seminario dal titolo “LA RIPRESA E/È LA CONCLUSIONE” è stato dedicato ad approfondire i significati simbolici della “ripresa”, azione ultima che chiude il ciclo degli esercizi del training autogeno.

Le relazioni presentate hanno spaziato dagli aspetti più prettamente neurofisiologici della “ripresa” a quelli più simbolici ed archetipici. Il Centro Bionomia ha partecipato con due lavori: un poster e una relazione.

Il poster dal titolo: “La ripresa: dalla mancata separazione/individuazione al passaggio del limen”  è stato realizzato dalla dott.ssa Elisabetta Chiappero la quale, partendo dalla propria esperienza clinica con il training autogeno, ha evidenziato il legame esistente tra determinate caratteristiche psicopatologiche e la difficoltà ad attraversare il limen, cioè quel confine virtuale tra stato autogeno e stato di veglia e viceversa, evidenziando una relazione tra tale difficoltà e la presenza di problemi di separazione/individuazione.

Nella relazione dal titolo “Luci e ombre dell’alba di un nuovo giorno”  l’accento è stato messo sulla “ripresa” intesa come momento di passaggio dallo stato autogeno allo stato di veglia, segnale di fine (ombre) e di inizio di qualcosa di nuovo (luci). Come ogni rito di passaggio con questa valenza anche la  ripresa nel training autogeno può essere un momento potenzialmente suscettibile di difficoltà e di resistenze, ma anche ricco di potenzialità.

LA RIPRESA:

DALLA MANCATA SEPARAZIONE/ INDIVIDUAZIONE AL PASSAGGIO DEL”LIMEN”

Dott. Elisabetta Chiappero  – Psicologa clinica e psicoterapeuta


INTRODUZIONE

 

Possiamo definire il TA come un rituale di iniziazione in un percorso di cambiamento bionomico.

L’esperienza autogena, così come il rito, ha la necessità di circoscriversi in uno spazio ed un tempo, premessa necessaria perché avvenga il passaggio tra lo stato di veglia e lo stato autogeno.

Il tempo è scandito dalla ripetizione delle formule in ordine preciso. Lo spazio, simile ad un contenitore rassicurante, che per certi versi rimanda simbolicamente all’utero materno, è delimitato da un confine virtuale e definisce il passaggio tra ciò che è esterno e ciò che è interno a me.

Attraverso i preliminari del TA (scelta del luogo, dell’abbigliamento, della postura, osservazione dell’immobilità e del silenzio per ridurre gli stimoli afferenti, chiusura degli occhi) ci si predispone ad una disconnessione globale dalla realtà esterna per rivolgere la percezione al proprio spazio interiore e progressivamente immergervisi.

Il soggetto supera un secondo confine dopo aver definito un primo confine a delimitare lo spazio in cui collocarsi, il “limen” tra stato di veglia e stato autogeno.

Questo, nella ripresa, sarà il confine attraverso il quale si attuerà il passaggio in senso inverso, quando si uscirà dallo stato autogeno per tornare allo stato di veglia. 

 

NESSI FRA PSICOPATOLOGIA E PASSAGGIO DEL “LIMEN”

 

I casi pervenuti alla nostra osservazione ci hanno fatto ipotizzare un nesso tra precarietà dei confini psichici (confini dell’io) presente in pazienti affetti da diverse forme di psicopatologia (pazienti ossessivi, psicosomatici, ipocondriaci, isterici) e difficoltà ad attuare il passaggio del “limen”.

Se non c’è individuazione spesso non c’è capacità di attraversamento, perché c’è il rischio di “perdersi”, “annientarsi”, “scomparire”. Ma la precarietà o la parziale mancanza di confini implica anche che gli affetti e gli stati emotivi rompano gli argini e travolgano dal dentro al fuori, determinando un’intensa angoscia di danneggiare con la propria distruttività l’Altro.

Alcuni di questi pazienti fanno fatica ad entrare nello stato autogeno, come se restassero aggrappati ad un “fuori” che sembra dar loro un assetto rudimentale di separatezza. Essi presentano resistenze fin dai preliminari (non trovano la giusta collocazione, si distraggono, adducono fastidi di ogni tipo), faticano ad entrare in contatto con se stessi, temono il vuoto che riempiono con idee ossessive o rituali e abbreviano il tempo del TA.

All’opposto pazienti che una volta entrati nello stato autogeno fanno fatica ad uscirne, come se restassero inglobati in una sorta di stato autistico da cui hanno timore di riemergere e che tendenzialmente allungano il tempo del TA.

Entrambe le categorie danno poca importanza alla “ripresa” e tendono a non sancire il momento del passaggio come se non ne riconoscessero la significatività.

Sono pazienti per i quali spesso è fallita, almeno in parte, l’esperienza di separazione/individuazione (M.Mahler/N.Mc Williams)  o che hanno subito esperienze negative di invasione (abusi, violazioni di confini psicologici e fisici).

Pazienti che, se sottoposti al Test di Rorschach, spesso descrivono figure che “si compenetrano”, che “si contaminano” perché non hanno mai dei confini ben delineati. Pazienti che sono soggetti ad una angoscia di natura persecutoria, caratterizzati da intensi bisogni di fusione a cui seguono angosce claustrofobiche e meccanismi difensivi di respingimento, devitalizzazione e delibidizzazione del mondo esterno.

CASO CLINICO

 

Franco ha 45 anni, attore, ha preso consapevolezza della propria omosessualità all’età di circa 30 anni.  Convive da 5 anni con un compagno con il quale si è unito civilmente dopo una psicoterapia di coppia ad indirizzo psicodinamico della durata di 4 anni. Da gennaio 2018 Franco ha chiesto di riprendere un percorso individuale in un’ottica bionomica-autogena per dare più spazio al lavoro sul corpo. Franco ad una prima valutazione viene diagnosticato come ipocondriaco, con una struttura del carattere essenzialmente nevrotica ed un livello alto di funzionalità ma ad una diagnosi più approfondita emergono nuclei di personalità più primitivi che hanno a che fare con problematiche di separazione/individuazione.

Il suo corpo è un contenitore dei sintomi più svariati che lui cerca di controllare con comportamenti ossessivi e ritualizzati, da sempre dipendente da una madre esigente che lo ha tenuto psicologicamente legato a sé. Il cibo, insieme alla cultura, sembrava essere il canale che la madre  legittimava. Infatti Franco, grasso fin da piccolo e con una repulsione per il proprio corpo, era un bambino prodigio che a 3 anni parlava coniugando perfettamente i verbi ed a 4 sapeva già scrivere.

“Sentivo una disarmonia nel mio corpo, un corpo che non mi piaceva, che ha continuato a non piacermi e di cui non ho coscienza”(come se il corpo fosse rimasto in ostaggio alla madre).”Mia madre passava tutto attraverso il cibo:  l’affetto, l’accettazione, la consolazione, l’accudimento, salvo poi lamentarsi di continuo con tutti perché a lei i bambini grassi non piacevano e di me non sapeva cosa farne.”

Quando Franco comincia il TA (esercizio della pesantezza) gli compaiono pruriti ovunque, gli vengono accessi di tosse, non riesce a stare fermo e tende a fare gli esercizi della ripresa molto velocemente, come se avesse una gran fretta di mettere fine ad un’esperienza di contatto con se stesso che lo spaventa. Invitato a fare delle libere associazione riguardo i propri vissuti, adduce a: “paura di finire nel disordine che uccide”; “paura di debordare”; “paura di sanguinare”; “paura di uscire dall’ordine che contiene”; “la pazzia che irrompe”. In altre occasioni aveva raccontato che la madre a volte aveva degli scoppi incontrollati di ira e lui in quei momenti non capiva più niente sentendosi come se avesse smesso istantaneamente di esistere.

“Se non ho un programma rigido io sono volatile “dice Franco di sé.  Per lui poco alla volta la ritualità del TA fornisce un contenimento ed è curativa. Con il suo spazio definito, il suo rito attraverso la ripetizione delle formule che Franco inizialmente si aiuta a contare usando le dita come i bambini, con l’esercizio finale della ripresa che lui impara ad eseguire con cura e la giusta energia, il TA lo aiuta gradualmente a sentire un corpo, il suo, che si rivitalizza e finalmente gli appartiene.

 CONCLUSIONI

 

Per la nostra esperienza la difficoltà del passaggio attraverso il “limen” nelle due direzioni sembra particolarmente evidente nei soggetti che presentano confini  identitari precari. Il passaggio dalla supremazia del controllo dell’io ad uno spazio interiore per lo più sconosciuto e che allude all’ampliamento della coscienza può generare in questi soggetti grande angoscia per il timore di disperdersi e attivare conseguenti resistenze, sia al momento del passaggio dallo stato di veglia allo stato autogeno che nel passaggio contrario (ripresa).

Noi ipotizziamo che gli esercizi di ripresa, intesi come parte finale del rituale del TA, aiutino a delimitare lo spazio ed il tempo in cui l’esperienza autogena si verifica e contribuiscano, con la loro ripetitività, a fornire quella rassicurazione che necessita all’io per non sentirsi sopraffatto dall’inconscio. Pensiamo che l’allenamento consapevole in questo particolare esercizio del TA possa favorire un cambiamento in senso evolutivo fino al raggiungimento di un migliore equilibrio consistente nel sapere/potere passare liberamente e fluidamente da uno stato all’altro in funzione delle proprie necessità.

Il soggetto, sapendo che può decidere di uscire dallo stato autogeno in qualsiasi momento ne senta il bisogno attraverso l’esercizio della “ripresa” sufficientemente esercitato e padroneggiato, accetterà più facilmente di scivolare in uno stato di coscienza dove venga meno la sua capacità di vigilanza e di controllo a favore dell’introspezione e dell’analisi dei vissuti più profondi.

 

Bibligrafia

Castellazzi “Test di Rorschach. Manuale di siglatura e interpretazione psicanalitica”,  ed. Las-Roma, Roma 2010
S.R. Capolupo  ” La madre e la mamma”,  Antigone ed., Torino ,2007
N. McWilliams “La diagnosi psicanalitica”,   casa editrice Astrolabio-Ubaldini ed., Roma ,1999
C. Widmann ” Il rito, in psicologia, in patologia,in terapia ed scientifiche” Ma. Gi. , Roma, 2007
C. Widmann ” Le terapie immaginative” ed scientifiche Ma.Gi., Roma, 2015 (2°ed)
C. Widmann “Manuale di training autogeno e tecniche di psicoterapia bionomica”, ed.del Girasole, Ravenna,2011

 

LA RIPRESA E/ E’ LA CONCLUSIONE:
LUCI E OMBRE DELL’ALBA DI UN NUOVO GIORNO

 

Innanzitutto partirei dalla definizione del termine ripresa:

1. NUOVO INIZIO DOPO UN’ INTERRUZIONE

2. RECUPERO DI ENERGIE, DI FORZE, DI VITALITA’

La ripresa nel TA è entrambe queste cose. Serve per uscire da uno stato di coscienza ed entrare in un altro.  Rappresentando una transizione da uno stato ad un altro, è una fine ma è anche un nuovo inizio, e in questo senso corrisponde alla prima definizione .

Nel contempo attiva il sistema neurovegetativo simpatico, riequilibrando la predominanza del parasimpatico che prevale nello stato autogeno, e in questo senso corrisponde alla seconda definizione di recupero di energie, di forze e di vitalità.

SIGNIFICATO SIMBOLICO

Come tutte le esperienze vissute con il TA, anche gli esercizi di ripresa possono costituire un’esperienza più  significativa dal punto di vista psicologico se se ne  coglie  il significato simbolico. Quando questo avviene,  non è infrequente che un esperienza somatica vissuta ed elaborata ad un livello ampio di coscienza  si espanda verso  orizzonti verso i quali non avremmo mai nemmeno rivolto lo sguardo.

Dal punto di vista simbolico gli esercizi di ripresa sono una piccola esperienza rituale di transizione. La Ripresa è un piccolo rito di passaggio. Per essere tale deve essere eseguita con consapevolezza simbolica , pena lo scadere in ritualismo e in una serie di gesti stereotipati e vuoti che lasciano il tempo che trovano. Ma se vissuta ad un livello di coscienza non superficiale, con la consapevolezza che può esistere un contenuto latente dietro ad ogni gesto che accompagna il TA, allora la Ripresa acquisisce il potere di un rito, e quindi amplia la coscienza e implementa le risorse dell’ Io grazie ad una capacità trasformativa, oltre che strutturare , ordinare, proteggere… tutte quelle funzioni che sappiamo  appartenere ai riti che modulano e rimodulano la vita psichica.

Se consideriamo la ripresa un piccolo rito di passaggio che chiude un ciclo e ne apre uno nuovo, questo ci pone di fronte ad un momento particolare di cambiamento che presenta grandi potenzialità e nel contempo  grandi criticità (“luci e ombre dell’alba di un nuovo giorno”).

Gli esercizi di ripresa si eseguono alla fine di ogni sessione di TA e ogni volta ne sanciscono il termine,  concludendo un ciclo. L’etimologia del termine ciclo ci riporta ai concetti di cerchio, giro, ruota. La radice indica girare, col senso di muovere.  Nel mondo delle credenze popolari  la ruota, come la linea curva, ha sempre a che fare con il diavolo  (la ruota in quanto tende ad annullare l’attrito e quindi va contro natura,  l’arco in quanto tende a sbeffeggiare la forza di gravità stando su senza apparenti appoggi). Dante descrive i gironi dell’inferno come un cono rovescio al fondo del quale si trova Lucifero che agita le braccia come un mulino “Par di lungi un molin che’l vento gira“, rappresentando in questo modo  l’mmagine del Male.

Le credenze popolari, così come le espressioni artistiche, i miti, le  leggende, le fiabe  sono spesso espressioni simboliche di difficoltà e paure, in questo caso  abbiamo a che fare con la paura della chiusura di un ciclo e dell’apertura di un altro, cioè la paura del cambiamento.

Nei racconti popolari ricorrono esempi in cui la fine di un ciclo o un cambiamento di rotta vengono associati al pericolo. Un esempio è  la storia del montanaro che si inerpica lungo sentieri serpeggianti, finché s’imbatte in una splendida fanciulla la quale, nel momento in cui supera un tornante che determina un cambiamento di direzione, si trasforma in strega, oppure mostra le gambe a forma di capra… (Centro di documentazione della tradizione orale, Piazza al Serchio, Lucca).

Se dovessi  proporre una rappresentazione geometrica della  ripresa , la rappresenterei con una curva,  in quanto deviazione dalla linea retta che implica un cambiamento di direzione, e quindi ignoto, pericolo.

Curva è diverso da cerchio. Il cerchio rappresenta un ciclo che ricomincia (ciclo lunare, mestruale, circadiano ecc…), non a caso per Luscher il cerchio è una forma considerata regressiva, corrispondente al blu.

La curva invece inaugura una nuova prospettiva, una svolta, una ripresa nel senso della prima definizione del termine, di un nuovo inizio dopo un’ interruzione.

OMBRE

Hillman in Puer Aeternus  parla della particolare debolezza e impotenza propria degli inizi di qualsiasi impresa (insita nell’unilateralità della direzione verticale, la tendenza al volo e alla caduta). Gli inizi delle cose sono lampi di genio, “ci piovono addosso dall’alto come doni del Puer”, ma all’inizio c’è difficoltà, e il Puer non le affronta, così il Nuovo muore facilmente. Per il  Puer la visione della meta da raggiungere e meta stessa sono una cosa sola, non sopporta la tortuosità, il tempo e la pazienza.

Il passaggio tra un ciclo e quello successivo è il momento dell’evoluzione, e il Puer rischia di non evolvere,  il Puer è, appunto, aeternus, e l’eternità è immutabile, è fuori dal tempo, non può procedere.

L’ombra di ogni inizio si annida nella paura del cambiamento e nel rifiuto di crescere, nella tendenza a restare nel regno del potenziale nel quale tutto è possibile ma di fatto nulla è,  nell’ incapacità di rinunciare all’illusorio  senso di onnipotenza che ne deriva, nel rifiuto dei vincoli e  dei limiti che comporta ogni scelta di nuove direzioni, ogni curva che sia necessario percorrere nella strada dell’individuazione  .

LUCI:

Ma nel PUER c’è anche un  aspetto positivo come novità, potenziale di crescita, speranza per il futuro.

Gli esercizi di ripresa, in quanto chiusura di un ciclo e inizio di un altro,  sono una piccola esperienza rituale  di transizione, superamento, sciogliemento, liberazione.  Ciò richiede una certa energia e anche questa viene attivata dagli esercizi di ripresa, così come la ripresa di un motore che contrasta e vince l’inerzia.   Così intesa l’esperienza  reiterata di questa fase spesso trascurata del TA  può costituire  un allenamento di base grazie al quale affrontare meglio, “irrobustiti”,  ogni processo di transizione della vita, ogni chiusura e ogni apertura. Considerati, compresi e vissuti  nel loro aspetto simbolico , gli esercizi di ripresa rappresentano allora , oltre al semplice  corretto modo di uscire dallo stato autogeno per rientrare in un rinnovato stato di veglia , una fondamentale esperienza simbolica evolutiva e vitale, generatrice di vita, in questo senso un’esperienza di gioia e di rinascita.

L’esperienza della Ripresa  come esperienza di rinascita fa entrare in contatto con la capacità di voltare pagina, di andare avanti;  la capacità di essere nel presente, di non vivere ancorati al passato come a una zavorra, e nemmeno di fantasticare sul futuro in modo ansioso, disordinato  e improduttivo; la vita è protesa in avanti, non indietro, e come dice Schultz tutto ciò che vive si autoafferma. Chiudere un ciclo vuole anche dire lasciar andare risentimenti, imparare a distaccarsi e ad apprendere,  vuol dire non rimanere intrappolati in un lavoro non più adatto, in un luogo, in una casa, in una relazione disfunzionale, o intrappolati in un sé stesso che non si è più.

L’esperienza  reiterata degli esercizi di ripresa costituisce un allenamento di base grazie al quale affrontare meglio, “irrobustiti”,  ogni processo di transizione della vita, ogni chiusura e ogni apertura. Per abituarci a saper attraversare e vivere in modo armonico i grandi cicli della vita, dobbiamo prima imparare a chiudere i cicli nel quotidiano, nella vita di tutti i giorni. Ogni fine è la conclusione di un ciclo. Se ci si  abitua a ritualizzare ogni inizio ed ogni fine, a partire dalle cose spicciole della vita quotidiana, ogni mese che passa, ogni stagione, ogni età della vita, si acquisisce consapevolezza dei cicli. La fine cesserà di essere un pericoloso tabù da evitare e nascerà una nuova consapevolezza volta alla  trasformazione e all’ evoluzione.

Come il musicista che studia tutti i giorni le “scale” in preparazione al grande concerto, ci si può esercitare  nel giorno dopo giorno, sui piccoli cicli del TA da vivere  con la bellezza dei riti quotidiani (o quasi quotidiani) , per arrivare al grande concerto dei cambiamenti della vita.

Bibliografia
Hillman J., Puer æternus, Adelphi, Milano 1999
Orru W., Aspetti rituali in psicoterapia bionomica, in Widmann C. (a cura di), Il Rito, Ed. Magi, Roma 2007
Widmann C., Analisi del rito e rito dell’analisi, in Widmann C. (a cura di), Il Rito, Ed. Magi, Roma 2007


Dott.ssa Laura Borgialli

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